Quelle cose che rifuggivamo, quando erano loro a farle, assumono un altro valore e siamo proprio noi a cercare di non perderle, magari dedicando un pomeriggio ad una ricetta che fino a poco tempo prima evitavano accuratamente.
Si possono fare queste riflessioni preparando le chiacchiere o cioffe, come vengono chiamate a Sulmona?
Un amico mi ha coinvolto nella preparazione di questi dolci, tipici del Carnevale, che la sua mamma, la signora Lucia, preparava in grandi quantità con l'aiuto delle donne del vicinato.
Con Franco abbiamo ripercorso i momenti di quello che era un rito: preparare l' impasto, tirare fuori la spianatoia, girare la manovella della nonna papera, ritagliare le strisce con la rotella dentellata e alla fine tuffare le cioffe nell' olio caldo del frappiere.
Quella che vedete in foto è una particolare pentola in rame, stagnata all'interno, che permetteva di friggere l'impasto conferendogli una forma tondeggiante. Il frappiere, ormai é quasi introvabile.
La fabbricazione del frappiere venne avviata nella bottega fondata da Agrisello Arduini, a L'Aquila, conosciuta in città per la lavorazione del rame, del ferro e dell'ottone, e il suo utilizzo fu costante fino alla seconda metà del secolo scorso. In tutte le famiglie si utilizzava per la prepazione di dolci del carnevale. Per la difficoltà della lavorazione del rame oggi gli antichi strumenti sono stati sostituiti con altri in alluminio e acciaio.
( Notizie prese dal sito Calendario etnoantropologico sul Carnevale a L'Aquila ).
Ebbene il mio amico Franco ne possiede uno, ha trovato il modo di farsi costruire una specie di tripode per sostenere il frappiere sul fuoco e avere così entrambe le mani libere.
Il frappiere viene riempito di olio di arachidi e, una volta raggiunta la temperatura ( che per la frittura ideale dovrebbe aggirarsi tra i 165°C e i 185°C ) si inserisce una striscia molto lunga di impasto delle chiacchiere e subito si copre con la parte del frappiere composta da una specie di mestolo bucherellato e capovolto che avvolge completamente l' impasto e permette di mantenerlo in immersione nell' olio.
Quando la cioffa risulta dorata , si sgocciola e si fa asciugare su carta assorbente.
Si servono cosparse con zucchero a velo, realizzato rigorosamente con un macinacaffé dedicato a macinare lo zucchero semolato.
Entrare in casa della signora Lucia é stato il modo più bello per celebrare una tradizione antica ed è stato un onore per me far rivivere gesti antichi che spero non andranno perduti.
Per la ricetta delle cioffe ho utilizzato quella della mia mamma, che trovate qui, con l' aggiunta di anice nell' impasto, per ottenere proprio il sapore che il mio amico Franco ricordava.
Un attrezzo originalissimo e mai visto! Che gola che mi fanno queste cioffe!
RispondiEliminabaci
Alice
La mia zia Lucia ❤️
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